Se non hai avuto modo di leggere l’articolo della rivista Bargionale in merito al cocktail delivery, è bene che tu lo faccia perché, se ancora avevi dei dubbi rispetto al poter fare o non fare il servizio di consegna a domicilio, allora ti toglierai definitivamente di dosso questo pensiero.
Intanto, per comodità, ti metto qui sotto il link all’articolo, così da poter verificare ciò che dico:
Cocktail delivery: il nostro manuale di istruzioni per i bar
L’articolo in questione, uscito il 23 Aprile su Bargiornale, inizia riportando questa frase nelle primissime righe:
“Avvalendoci del parere di professionisti per ognuno di questi ambiti, facciamo una volta per tutte chiarezza su come muoversi per attivare il proprio servizio di cocktail delivery. Tanto per tranquillizzare gli animi, alla domanda: “si può fare?” la risposta – nella maggior parte dei casi – è affermativa.”
Dopodiché dice espressamente:
“L’attività di delivery da parte di un bar è una attività considerata “secondaria” a quella di normale somministrazione, ed è qui che entrano in campo alcuni limiti per quanto riguarda i volumi di vendita, specificatamente per i cocktail: se l’imbottigliamento è preventivo, continuativo e per numeri di un certo rilievo, potrebbe configurarsi una attività di produzione di alcolici (l’attività di un liquorificio, che presuppone ben altri adempimenti). Allo stato attuale non ci sono dei limiti definiti con precisione. Sergio Ghisoni dell’Ordine dei Commercialisti di Milano ci dice che «Duemilacinquecento consegne l’anno potrebbero già configurarsi come una attività produttiva». Se però l’imbottigliamento avviene al momento e consegnato in breve tempo, si rientra in una normale somministrazione per asporto (con Iva al 10%, come se venisse consumato nel bar).”
Tradotto, se fai come ti ho spiegato io nelle ultime settimane imbottigliando al momento e consegnando in breve tempo, VA BENE e non ci sono limitazioni.
L’articolo ribadisce poi la competenza del SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive) del proprio Comune nello stabilire se la licenza di somministrazione di un bar può fare consegne a domicilio, facendo presente che :
“Un bar generalmente ha una licenza di somministrazione”, dunque di cessione per un consumo sul posto di alimenti o bevande lavorate e servite all’interno dei proprio locali, con facoltà di asporto.”
Successivamente, vengono citate le condizioni per fare autonomamente le consegne a domicilio, ma mancando in Italia una contrattualistica di categoria specifica per i corrieri come quelli di Glovo, Uber Eats e compagnia bella, ed essendo ancora in vigore tutte le limitazioni agli spostamenti da casa per via dell’emergenza sanitaria, sinceramente ADESSO eviterei di avventurarmi nel delivery con dei corrieri miei e delegherei la cosa a chi ha già tutte le autorizzazioni necessarie.
E’ già sufficientemente complesso vendere drink a domicilio ai propri clienti e assicurarsi che i cocktail che bevono siano perfetti come al tavolo del tuo locale – come hanno spiegato i ragazzi di COCKTAIL SOLUTION nei due Laboratori online fatti di recente – per cui perché complicarsi ulteriormente la vita in questo momento in cui un altro po’ ti arrestano anche se vai a correre sotto casa? Ma questa è solo una mia opinione personalissima.
Come indicato anche nel nostro documento di riferimento e a disposizione di tutti i professionisti del settore come te – per tua comodità lo trovi qui: https://www.attrezzaturabarman.it/it/content/16-cocktail-delivery-si-puo-fare-facciamo-chiarezza – nell’articolo di Bargiornale viene posta l’attenzione sull’adeguare il manuale HACCP in base al nuovo ciclo di lavoro:
“Presupponendo che l’attività di consegna (cocktail delivery) si integri ad una attività già in essere, l’autorizzazione principale della Asl resta quella pre-esistente.Il piano di autocontrollo andrà però modificato in alcune sue parti…”
Quindi, fino a qui, son tutte rose e fiori.
Proprio alla fine, l’autore dell’articolo parlando del coinvolgimento delle dogane scrive:
“Un dubbio sorge però leggendo il Testo Unico Accise, il quale all’articolo 29 disciplina la “trasformazione, condizionamento e stoccaggio di prodotti alcolici”. Secondo le domande che abbiamo posto direttamente all’Agenzia delle Dogane, per essere in regola occorre presentare richiesta specifica ai loro uffici regionali o comunali 60 giorni prima dell’avvio dell’attività (per approfondimenti leggere l’art. 20 del “Decreto Ministeriale 153 del Marzo 2001”); in questo caso l’attività non può comunque prevedere uno stoccaggio e prevede la sola vendita a singoli privati.”
“UN DUBBIO”.
Questo “dubbio”, di fatto, non c’è e ti spiego perché.
L’art. 20 del “Decreto Ministeriale 153 del Marzo 2001 citato da Bargiornale (ti invito a consultarlo personalmente cliccando sul link ipertestuale e scorrendo la pagina che ti si aprirà fino all’articolo 20) dice (cito testualmente come potrai verificare in prima persona):
“Art. 20. Denuncia di deposito e rilascio della licenza 1. Chiunque intende esercire, ai sensi dell’articola 29, comma 1, del testo unico, un IMPIANTO DI TRASFORMAZIONE, DI CONDIZIONAMENTO O DI DEPOSITO di alcole etilico e bevande alcoliche assoggettati ad accisa, almeno 60 giorni prima di iniziare l’attività presenta all’UTF competente per territorio apposita denuncia, contenente la denominazione della ditta, la sua sede, la partita IVA, il codice fiscale e le generalità del rappresentante legale e dell’eventuale rappresentante negoziale, il comune, la via ed il numero civico o la località in cui si trova l’istituendo deposito, nonché la capacità di stoccaggio del medesimo. Se trattasi di un IMPIANTO DI TRASFORMAZIONE, la denuncia riporta anche le seguenti indicazioni: a) i numeri di telefono e di fax; b) la descrizione delle apparecchiatura, dei processi di lavorazione e della potenzialità degli impianti; c) la descrizione e le caratteristiche degli impianti e delle apparecchiature per la produzione, l’acquisizione e la misurazione dell’energia; d) la quantità massima dei prodotti assoggettati ad accisa che in qualsiasi momento si potrà trovare nel deposito; e) la descrizione degli strumenti installati per la misurazione delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti; f) le procedure operative di carattere tecnico-contabile che si intendono attivare per la gestione del deposito.”
Se hai dato un’occhiata alle parti in grassetto, avrai notato che ho sottolineato una parola in particolare:
IMPIANTO
Cos’è quindi un IMPIANTO?
Ecco cosa dice la Treccani (http://www.treccani.it/vocabolario/impianto/), che sicuramente conosce la lingua italiana meglio di me:
“2. concr. a. L’insieme dei macchinarî, delle attrezzature e dei mezzi di produzione in genere che, impiegati in maniera coordinata, sono necessarî per la produzione di determinati beni o servizî”
Quindi, “traducendo” l’art. 20 del “Decreto Ministeriale 153 del Marzo 2001 citato da Bargiornale:
“…Chiunque intende esercire, ai sensi dell’articola 29, comma 1, del testo unico, un INSIEME DI MACCHINARI, ATTREZZATURE E MEZZI DI TRASFORMAZIONE, DI CONDIZIONAMENTO O DI DEPOSITO di alcole etilico e bevande alcoliche assoggettati ad accisa… “
…Deve presentare una richiesta alla dogana 60 giorni prima dell’inizio attività.
E dimmi un po’ una cosa… nel tuo locale, PRIMA che succedesse questo gran casino del Coronavirus, tu ce l’avevi “l’IMPIANTO DI TRASFORMAZIONE E CONDIZIONAMENTO”?
No, non parlo degli split della Daikin per fare caldo/freddo.
Cosa sono? Sono dei macchinari che servono a trattare, manipolare e conservare le materie prime. Nel caso specifico per produrre alcolici.
Cosa ti ricordano macchinari del genere assimilabili al nostro settore?
SI’, esattamente. I liquorifici.
Qui non si sta parlando del barista Mario, perché lui per servire lo Spritz DENTRO il suo locale (così come per l’asporto o la consegna) NON HA BISOGNO di nessun macchinario di trasformazione o condizionamento. Mario ha una bottega, non sta producendo il Jack Daniel’s nel suo locale, né un limoncello fatto da lui in stock da vendere ai propri clienti.
MARIO NON HA UN LIQUORIFICIO. MARIO NEL SUO RETRO BOTTEGA NON HA MACCHINE PER DISTILLARE O FARE CHISSA’ QUALI TRASFORMAZIONI CHIMICHE DI MELASSA O ALTRE MATERIE PRIMA E QUINDI ALLA DOGANA NON DEVE CHIEDERE NESSUN PERMESSO, NE’ PER FARE LO SPRITZ DENTRO IL SUO BAR, NE’ PER CONSEGNARE LO STESSO SPRITZ AL CLIENTE CHE GLIELO HA ORDINATO DA CASA.
Quella che fa Mario è somministrazione!
Quindi non c’è nessun dubbio che un cocktail bar possa portare a domicilio i cocktail.
Un’attività che opera regolarmente secondo la licenza di somministrazione di alimenti e bevande:
– NON fa trasformazione attraverso macchinari: non c’è nessun processo chimico di trasformazione industriale nella miscelazione ordinaria di cocktail;
– NON prevede impianti per il condizionamento dei prodotti: ovvero non c’è nessuna lavorazione industriale (raccolta, movimentazione e stoccaggio);
– NON prevede stoccaggio: ovvero i cocktail non vengono premiscelati e conservati in bottiglia per una vendita futura.
Quindi il dubbio che espone Bargiornale è riferito a quello che scrive precedentemente nello stesso articolo:
“se l’imbottigliamento è preventivo, continuativo e per numeri di un certo rilievo, potrebbe configurarsi una attività di produzione di alcolici (l’attività di un liquorificio, che presuppone ben altri adempimenti).”
Dicendo anche, come avevo già riportato all’inizio di questa lettera, che
“Allo stato attuale non ci sono dei limiti definiti con precisione. Sergio Ghisoni dell’Ordine dei Commercialisti di Milano ci dice che «Duemilacinquecento consegne l’anno potrebbero già configurarsi come una attività produttiva». Se però l’imbottigliamento avviene al momento e consegnato in breve tempo, si rientra in una normale somministrazione per asporto (con Iva al 10%, come se venisse consumato nel bar).”
Se tu sei un Cocktail Bar con regolare licenza di somministrazione di alimenti e bevande, e imbottigli i cocktail al momento e li consegni in breve tempo, rientri in una normale somministrazione per asporto.
Nella Licenza stessa (legge n. 287 del 25 agosto 1991) è concessa la facoltà di effettuare asporto, quindi preparare un cocktail e servirlo al tavolo nel proprio locale è esattamente equiparato a preparare lo stesso cocktail e servirlo da asporto (quindi consegnarlo a domicilio) se il tutto avviene al momento e consegnato in breve tempo per il consumo.
Devo aggiungere altro?
I miei “detrattori”, gli stessi che invece di darti una soluzione per risolvere i problemi impegnano il loro tempo a dire cosa non dovresti fare senza la certezza assoluta, mentre i giorni passano e i tuoi debiti aumentano, diranno: “Ma io l’ho chiesto alla dogana..!“, ma chi dice che la dogana si preoccupi di distinguere se tu stai facendo attività di opificio/liquorificio o di semplice somministrazione?
Non è competenza della dogana l’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
E’ davvero assurdo pensare che in Italia dei dipendenti pubblici si siano limitati a fare un copia e incolla di una normativa scritta che TU devi interpretare in base alla tua effettiva attività?
La normativa è chiara, parla di IMPIANTI, non di bar con semplice somministrazione. Il discorso è che:
- Non glielo dovresti proprio chiedere perchè su quel piano sei a posto NON essendo il tuo un impianto di produzione, ovvero opificio;
- Ovvio che se poi glielo chiedi dicendo “ciao dogana io imbottiglio cocktail e li consegno a casa, mi serve la licenza per farlo?“
Loro rispondano di sì, ma senza avere una visione di insieme della faccenda.
Sono coinvolti non so più quanti enti diversi in questa storia – il solito paradiso burocratico italiano – e, guarda caso, gli unici che hanno qualcosa da ridire sono quelli che ti rispondono con un decreto che si riferisce chiaramente ai liquorifici. Lo dice la lingua italiana, non c’è nulla da “interpretare”.
Io non pretendo di possedere la verità assoluta, ma per forma mentis non mi fermo al “Gino ha detto che” prendendolo per buono. Io non mi fido di nessuno, nemmeno degli stessi esperti a cui mi rivolgo, almeno fino a che non ho avuto modo di verificare personalmente la bontà del loro operato. Se non sono d’accordo con ciò che mi dicono, glielo faccio notare apertamente e solo quando sono sicuro di certe cose le riporto a te, perché certe scelte sono le stesse che farei per la MIA attività.
Quello che sto facendo da settimane è mostrarti “ciò che non si nota alla luce del sole”, perché se Gino è minimamente noto nel nostro settore e inizia a dire che X+Y=Z, allora tutti iniziano a ripetere la stessa cosa, e quando tante persone dicono la stessa cosa va a finire che diventa vera.
Anche se non lo è. Perché X+Y potrebbe essere uguale a K, dopo un’attenta verifica. Che è quello che sto facendo.
La mia missione, quindi, è farti vedere che se 1000 persone dicono che secondo loro c’è un cavillo per cui non si può fare il cocktail delivery, non è detto che sia davvero così. E te lo dimostro con i fatti, con i riferimenti e nel modo più oggettivo possibile, così da darti la possibilità di capire PERCHE’ si può fare Cocktail Delivery e PERCHE’ il Testo Unico della Accise e l’articolo 20 di quel decreto citato da Bargiornale NON ti obbligano a fare una richiesta preventiva alla dogana.
Se avessi pensato il contrario o avessi avuto qualche dubbio – io, così come i consulenti di cui mi sono circondato -, ti avrei detto di muoverti e fare subito la richiesta per guadagnare tempo! Sappiamo tutti che il delivery potrà esserti utile anche dopo la quarantena, per cui tanto vale organizzarsi per portare avanti quel tipo di servizio per parecchi mesi. MA NON SERVE. TU PUOI FARE DELIVERY ADESSO, COME TI HO GIA’ SPIEGATO.
Cosa mi costerebbe dirti “già che ci sei, per sicurezza, fai la richiesta“, e ovviamente sei liberissimo di procedere in tal senso, ma l’articolo è chiaro e tu non hai un liquorificio. E’ come se chiedessi la licenza per i Tabacchi anche se non vendi sigarette: quale sarebbe il senso?
Ogni giorno continuerò ad aggiornare il nostro testo di riferimento con qualsiasi novità che ti aiuti a capire COME fare legalmente il servizio di consegna a domicilio, visto che è totalmente nel mio interesse la sopravvivenza e il successo della tua attività e non posso permettermi di lasciarti nei guai.
Ti invito a dare un’occhiata al link qui sotto – clicca sul bottone rosso – per fare un ripasso di tutte le indicazioni che inevitabilmente ho dovuto aggiornare e perfezionare da quando è iniziata l’emergenza.
Andrea Marini
Generale di BAR WARS